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Spesso faccio l’errore di considerare “Storia” solo quella del ‘800 o al massimo dei primi del’900, ma oggi una foto mi ha dato lo spunto per episodi che io considero “vicini” ma che non lo sono. Durante la seconda guerra Mondiale nel periodo tra il luglio e agosto del 1943 la guerra dei Nebrodi lasciò molte cicatrici nel nostro territorio. La mattina del 13 agosto i genieri tedeschi bloccarono la rotabile costiera demolendo parzialmente il tunnel stradale di Capo Calavà e facendo saltare all’uscita da questo tratto di 135 m. la strada facendola precipitare in mare da un’ altezza di 25 m. su una scogliera. Queste demolizioni non avrebbero consentito agli americani di riagganciare e impegnare le retroguardie tedesche. Tuttavia i genieri americani riuscirono dopo 18 ore di febbrile lavoro a far passare il 30° reggimento fermo ad ovest della galleria. Il ponte costruito sul tratto di strada precipitato a mare, fu chiamato “ponte sul cielo” , sei ore più tardi, dopo qualche puntellamento qua e là, anche i mezzi pesanti cominciarono a passare. (Foto e notizie tratte da: La guerra sui Nebrodi di Giovanni Sardo Infirri)
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- Scritto da Maria Antonietta Letizia
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Riassumo la storia di questa cappella ormai abbandonata che si trova nella frazione di Scala. Il Barone Domenico Sciacca della Scala, era un parlamentare alla Camera dei deputati, morì a Roma nel dicembre del 1900, dopo i funerali di Stato la salma fu portata a Patti e tumulata nella cappella Piccolo-Natoli del cimitero del Centro. Nel 1902 la moglie, principessa Marianna Merlo, chiese e ottenne l’autorizzazione a costruire una cappella funebre a Scala e lì furono seppellite le spoglie del barone. Intorno al 1954, esse furono esumate e traslate a Palermo, per essere tumulate accanto a quelle della moglie nella cappella gentilizia della famiglia Merlo. Qui di seguito troverete le foto della cappella e anche i documenti della richiesta della principessa e la Delibera di Consiglio che ne autorizzò la costruzione…una visita negli archivi comunali riserva sempre delle piacevoli sorprese!
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- Scritto da Maria Antonietta Letizia
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Lungo le strade dei nostri paesi ci sono molte edicole devozionali comunemente chiamate “altarini”. Sono posizionate lungo una strada, solitamente ad un crocevia, fissate su un muro o erette a terra per segnare un luogo di sosta e di preghiera. Avevo raccolto tempo fa alcune foto di questi tabernacoli situati in paese anche con l’aiuto di alcuni amici di fb ultimamente si è aggiunto il restauro della Madonna del Carmelo di Patti Marina, certo è molto più grande rispetto ad altri tabernacoli ed ha una storia più complessa. Gli esperti hanno stabilito che l’opera probabilmente risale alla fine del ‘700, forse inizialmente era un’altra Madonna o addirittura una Santa che, salvata da una fine ingloriosa in un magazzino, fu restaurata e modificata. Sta di fatto che si tratta di una statua polimaterica che, ormai ripulita dei tanti strati di pittura che nel corso dei secoli ne avevano quasi modificato i lineamenti, ora si può ammirare in tutto il suo splendore.
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- Scritto da Maria Antonietta Letizia
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Facciamo un giro nei bar di Patti intorno agli anni ’50? In piazza Marconi in quegli anni sostavano brevemente, all’alba, le corriere di linea che andavano a Messina, lungo la nazionale 113. In quei pochi minuti, i due bar di Antonino Licata e Gaetano Lombardo si animavano di clienti frettolosi. Durante il giorno, poi, ma specialmente la sera, il bar Licata, per la posizione privilegiata che consentiva di mettere fuori i tavolinetti, si trasformava in salotto di conversazione per impiegati e professionisti. Intorno al 1954, accanto a Licata si aggiunse il bar di Salvatore Tarantello., ma fu in esercizio per pochi anni. Dal 1960 e fino al 1971, nel locale all’angolo con la via Mazzini, ci fu il bar di Giuseppe Cottone,(nella foto il laboratorio) qui trasferitosi dal vicolo Pisacane. Lasciando la piazza e salendo dalla via XX settembre, c’immettiamo nella via Verdi, sulla destra c’era il bar di Carmelo Galante, dove si poteva consumare una buona granita con le zuccherate e i “pezzi duri”. Il “caffè Galante” fu, negli anni ’30 centro di raduno degli intellettuali ed è l’unico che pur avendo perso la sua funzione di bar conserva intatto l’aspetto e lo spirito di quegli anni.
Didascalia della seconda foto: Foto del 1915 (una nota sul retro ci informa che solo quattro anni più tardi, nel 1919, sarebbe stato edificato il secondo piano) ritrae l’edificio, oggi al civico 8 della via Regina Elena, dove venne fondata la ditta di Giuseppe Galante e Giovanna Manfré; l’abitazione della famiglia al primo piano, mentre al pian terreno, per lungo tempo, il forno e il laboratorio di pasticceria (anche dopo l’apertura del caffé, nel 1918, quasi di fronte e che, negli anni venti, venne trasferito un po’ più su, nella stessa via, dov’è attualmente).
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