Diverse sono le ipotesi sostenute sull'origine della città di Patti: alcune fantasiose, altre semplicistiche, altre ancora molto riduttive dal punto di vista storico ma le recenti scoperte archeologiche dimostrano l’esistenza di un nucleo, abitato ed organizzato, già dall’VIII° -X° sec a. C. A questo periodo risale, infatti, la necropoli di contrada Monte. In parte visibile dalla strada provinciale Patti-Sorrentini, a circa 1 km dalla città, il sito archeologico presenta un'estensione di circa 16 ettari e ingloba parte della contrada Monte e tutta la contrada Valle Sorrentini, ambedue nel territorio comunale di Patti. La necropoli si estende tra i pendii della collina calcarea fino alla Valle Sorrentini, alle cui tombe si accede mediante un pozzo e scalino. Sul versante est, che guarda verso Patti, è stata notata una lunga scala, larga almeno 3 m e realizzata nella roccia, che porta sulla sommità della collina, dove, sebbene non vi sia alcuna tomba, la presenza di ruderi, nel pianoro a nordovest, ricondurrebbe ad un anaktoron. E’ possibile che le incursioni dei Siculi e degli Ausoni (XIII-XII sec ) abbiano incrementato la consistenza della popolazione locale a tal punto da rendere insufficiente l'area di contrada Monte e abbiano creato un'altra comunità, ad oriente del torrente Provvidenza, in una porzione di territorio denominata "Epacten" (Έπακτήν) che, risalendo alla etimologia greca sulla sponda, sul promontorio, rimane la tesi più accreditata sull’origine della denominazione “Patti”.La città si estendeva a sud fino al mare ed era delimitata da due corsi d’acqua, attualmente denominati Provvidenza e Acquafico. Trovano così giustificazione gli affioramenti ellenici a nord dell'attuale ospedale e le "notizie" su altre strutture, venute casualmente alla luce durante i lavori di costruzioni private.
Nel centro storico, nel corso di alcuni lavori di scavo, sono venute alla luce anforette, alcune delle quali finemente decorate, materiale lapideo di riutilizzo e cocci di terracotta, risalenti a vari periodi.
Con la scoperta della Villa Romana, si ha un’ulteriore conferma che la zona era interessata da insediamenti abitativi per il periodo che va dal III sec. a.C. al X sec. d.C. Sotto le strutture romane della Villa del I sec. d.C. sono venute alla luce opere murarie di epoca precedente, per cui il complesso monumentale vede sovrapposti ben quattro periodi, senza contare la chiesetta di Sant'Erasmo: il pre-romano verosimilmente ellenico; il romano del I sec. d.C.; il romano del IV sec. d.C. e il bizantino. I reperti rinvenuti provano che la Villa è stata abitata, anche se parzialmente, fino al X-XI sec. d.C.; successivamente è presumibile che le incursioni dal mare, abbiano spinto gli abitanti a rifugiarsi in un’ area più sicura, quale poteva essere la città di Patti, ormai fortificata.
In questo contesto è fondamentale introdurre la storia di Tindarys, frazione di Patti , strettamente legata a quella del territorio nonchè della Magna Grecia. La fondazione di Tindari, fatta risalire dagli storici al 396 a.C., fu voluta da Dionisio, tiranno di Siracusa, il quale, volendo creare un posto fortificato e strategico per fronteggiare eventuali incursioni dei Cartaginesi,vi inviò, alcuni Greci che avevano trovato rifugio a Messana e che erano, in gran parte, Locresi e Messeni, con una sparuta presenza di Medmei.
La denominazione di "Tyndaris" si fa risalire ad eventi mitologici. I coloni greci, infatti, erano particolarmente devoti ai Dioscuri, Castore e Polluce , secondo la leggenda, figli di Giove e di Leda, moglie di Tindaro re di Sparta e altresì chiamati Tindaridi. Ciò ha indotto i fondatori della colonia a denominare la regione Tindaride e la città, alla quale faceva capo, Tyndaris. I Dioscuri furono così i protettori della città, come attestano parecchie monete rinvenute durante gli scavi. Altro evento, legato alla mitologia, è quello relativo allo sbarco di Oreste e alla introduzione nella Tindaride del culto di Diana Facellina. Con la costruzione del tempio di Diana, presumibilmente in contrada S.Cosimo, alla Tindaride si affiancava l’Artemisio, nel quale si trovava il Nauloco. Quest’ultima località era un porto militare, i cui reperti potrebbero essere quelli esistenti in contrada Sipio e sui monti Perrera e Russo.
Tratto da “Nauloco e Diana Facellina: un’ipotesi sul territorio di Patti fra mitologia, storia e archeologia” di Nino Lo Iacono.