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- Scritto da Maria Antonietta Letizia
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Nel libro Rosso sono trascritti importanti documenti e sono inseriti diversi carteggi. La raccolta è aperta da una pergamena raffigurante lo stemma municipale. Il manoscritto cominciò ad essere compilato nel 1561 perché gli amministratori di allora si curarono di conservare gli originali o di far fare le copie dei privilegi, concessioni, capitoli, consuetudini, giuramenti dei vescovi, sentenze, titoli, statuti etc. che interessavano la città. Ci sono copie e originali, parte in latino e parte in volgare dei tempi, parte in spagnolo. Il più antico documento trascritto in copia è un privilegio del re Ruggero alla città di Messina, datato 5 maggio 1129, segue altro documento in copia di re Giacomo in favore di Messina del 15 dicembre 1283 etc. A partire dal foglio 114 v (1538), fino al foglio 143 v (1547), si può leggere la storia degli avvenimenti che portano all’occupazione e distruzione di Patti, da parte del pirata Dragut, luogotenente di Ariadeno Barbarossa. A partire dal foglio 102 r e seguenti vi è il ruolo dei censi cittadini (1580) da pagare all’ università e la disposizione del tesoriere, Francesco De Barbaro, di riscuotere il denaro. Segue un elenco completo con i nomi e le proprietà per cui si doveva pagare l’importo in tarì o in grani. Nel foglio 172 r sono registrate le spese in onze 400 per “sistemare e rimediare le mura di essa città che sono aperte e minacciano rovina” (1587 Poi i giuramenti di osservanza dei privilegi cittadini che i vescovi dovevano fare nelle mani dei Giurati. Nel 1602 il vicerè Lorenzo Suarez Figueroa impone lo stipendio di due onze al mese per l’artigliere della torre della marina (foglio 189 r) e così via. Si contano 233 pagine manoscritte e numerate, ci sono anche allegate due lettere originali: la lettera indirizzata da Garibaldi al Sindaco il 18 gennaio 1862, in cui ringrazia per l’accoglienza avuta a Patti ( che non c’entra con il Libro Rosso, ma che è lì inserita per essere ben custodita) e un’altra del re Vittorio Amedeo di Savoia, scritta il 17 novembre 1713 ai giurati per ringraziarli “ dei sensi di giubilo e di zelo” che gli erano stati presentati nell’occasione della sua incoronazione a Palermo. L’ultimo documento raccolto porta la data del 12 ottobre 1781. La copia tradotta del Libro Rosso si trova in biblioteca è un lavoro fatto da Nunzio Baragona. Chiaramente uno studioso non consulta mai una traduzione perché la fa da sé leggendo un documento senza doversi fidare delle altrui interpretazioni, ma questo lavoro è molto utile per chi vuole farsi un’idea e capire cosa contiene quel libro tanto antico.
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https://cittadipatti.it/index.php/storia-di-patti/bibliografia/39-storia-di-patti#sigProIdb23b6d591a
Già in una circolare dell’11 gennaio 1834, l’Intendente di Messina illustrava ai Sindaci la necessità di istituire le “Biblioteche Comunali”. Il decurionato di Patti, pur condividendo la necessità di tale iniziativa, la rimandava a causa di difficoltà finanziarie[1].
Nel 1867, in seguito al Regio Decreto 7.7.1866, il comune entrò in possesso dei locali del Seminario e dei suoi libri. Non è il caso, qui, di scendere nei particolari di questa legge e della sua applicazione, spesso errata, che provocò molti abusi e liti giudiziarie. Di fatto, nella Deliberazione di Giunta Municipale del primo marzo 1867 sotto la presidenza del Sindaco Domenico Natoli, la Giunta si occupò della destinazione dei “locali dell’ex Seminario e le due terze parti dei Corpi”. Per quanto riguarda i libri la deliberazione recita: […] “Considerando, che per la conservazione della libreria toccata al Municipio in milleseicentoquarantadue volumi e per tenerla aperta tutti i giorni dell’anno ad utilità di tutti coloro che vorrebbero accedervi venisse destinato un bibliotecario per lo accerto del servizio e per la responsabilità dei libri […], delibera domandarsi al Real Governo […]; delibera, inoltre, che la biblioteca fosse destinata ad uso pubblico e che la consegna dei libri venisse affidata ad un Bibliotecario responsabile, con il soldo di Lire trecentosei annue e volendo provvedere al personale, ad unanimità di voti manifestati per bussola segreta, ha eletto per bibliotecario il Sacerdote Signor Gaetano Raffaele […]”.
In una successiva deliberazione, il Sindaco diede lettura di una missiva pervenuta dal Ministero della Pubblica Istruzione nella quale si sollecitava ”deliberazione di questo Municipio onde venghi assegnata una conveniente e specificata somma pel mantenimento ed incremento della pubblica biblioteca istituita in questo Comune. La Giunta facendo omaggio alla proposta del Signor Ministro ad unanimità delibera: assegnarsi lire 200 annue da servire pel mantenimento e incremento di questa”.
Nel 1871 il Sottoprefetto di Patti dispose, in favore del Comune la devoluzione della libreria appartenente all’ex convento dei Minori Osservanti di Piraino, essendosi quel Comune rifiutato di sostenere le spese per impiantarvi la biblioteca.
Nel 1924 il Vescovo di Patti, Mons. Fiandaca, rientrò in possesso del fabbricato e delle rendite del Seminario, con il dissequestro dei beni, ponendo fine “all’annosa questione, che da un biennio, e specialmente nella fine dello scorso anno 1923, ha tenuto agitata, divisa e perplessa la cittadinanza”. Queste parole usa l’avv. Salvatore Sciacca Giardina, Commissario prefettizio, nella deliberazione[2] di approvazione e ratifica della transazione stipulata tra il Comune e il Vescovo.
Dopo un trentennio, Patti non ha ancora una sua biblioteca: bisogna aspettare il marzo del 1957 per la proposta della sua istituzione, da parte dell’allora Sindaco Giovan Battista Sciacca. Il Consiglio, ad unanimità, delibera di dare a lui il mandato per la scelta del locale in cui la biblioteca potrà funzionare e predisponga intanto l’apposito regolamento che il consiglio si riserva di approvare appena verrà sottoposto al suo esame[3]. Così, dopo centoventisei anni dalla prima proposta di istituzione, la Biblioteca Comunale diviene finalmente una realtà. L’undici gennaio 1960, la Giunta Municipale approvò lo schema del regolamento, che fu ratificato con Deliberazione Consiglio Comunale del 17.6.1961 e nella quale si legge alla voce “Denominazione e fini”: “E’ istituita in Patti una Biblioteca civica pubblica denominata Biblioteca Comunale di Patti […] con lo scopo di porre a disposizione del pubblico libri, periodici e altro materiale, utili per l’istruzione, l’educazione e la diffusione della buona lettura fra tutti i cittadini […]. Il personale è costituito da un direttore, da un aiuto bibliotecario e da un inserviente […]. Fino alla nomina del direttore e degli altri addetti alla biblioteca la direzione sarà affidata all’Assessore Comunale alla Pubblica Istruzione, il quale si potrà giovare della collaborazione di uno degli impiegati del Comune provvisoriamente incaricati dal Sindaco”.
Comincia così la lenta, ma costante crescita della Biblioteca: il 20.04.1973 entra in servizio la prima bibliotecaria, la signora Maria Luisa Farina.
Nel 1974, il Comune, dà incarico all’architetto Fabio Basile di Messina di redigere un progetto per la costruzione della sua sede[4], ma non va a buon fine perchè il Comune è impossibilitato a fronteggiare la spesa che ammonta a lire 117.350.000, e perciò chiede al Ministro della Pubblica Istruzione il finanziamento della spesa. Dopo sei mesi, richiede lo stesso finanziamento all’Ente Nazionale per le Biblioteche popolari e scolastiche, ma evidentemente non ha mai ottenuto i fondi visto che la Biblioteca negli anni cambia spesso sede: i locali della Pro Loco,Via Cattaneo, Via Regina Elena. Nello stesso anno 1974, la Biblioteca veniva intitolata allo scomparso Duca Vincenzo Ruffo della Floresta.
Nel 1992 fu assegnata una direttrice nella persona della dottoressa Anna Benedetti. Nell’estate dello stesso anno, in seguito a un lascito, la Biblioteca viene trasferita nell’attuale sede di Villa Pisani a Patti Marina e cambia anche denominazione: si chiamerà Biblioteca Comunale “Nobile Ceraolo Pisani”.
La villa Pisani ai primi del 1800 era di proprietà di Nobile Ceraolo Francesco Nunzio. Ceraolo Maria (n.1810?– m. 1889) figlia di Biagio e perciò nipote di Francesco Nunzio, aveva sposato Alessandro Pisani di Gioiosa Marea (n.1810 ? – m.1869) ed ereditò la villa. L’ultimo proprietario fu infatti un Pisani: Nicolò Vincenzo.
La villa è situata a Patti Marina, è ancora molto bella anche se i restauri eseguiti dopo il terremoto del 1978 ed i successivi lavori di ristrutturazione curati dal Comune quando ne divenne proprietario, ne hanno in parte modificato l’aspetto originale. Non esiste più la scala in pietra che portava al piano superiore, sostituita con una in legno che deturpa quello che doveva essere un ingresso meraviglioso.
L’attuale suddivisione della villa è la seguente:
a. Piano terra
- direzione
- ufficio del personale
- sala computer
- altri due vani per il prestito e la conservazione dei libr
b. Piano superiore
- ASCT (Archivio Storico Comunale Territoriale) con annesso ufficio del personale
- sala studio
- Museo del Mare
Sono invece raggiungibili dal giardino quattro magazzini sottostanti la struttura della villa e una dipendenza che ospita Associazione Nazionale Carabinieri (ANC)
NICOLÒ VINCENZO PISANI
Nicolò Vincenzo Pisani nato a Patti il primo agosto 1910, discendeva da una nobile famiglia originaria di Gioiosa Marea. Il suo bisnonno Alessandro Pisani aveva sposato Maria Ceraolo di Patti. Suo nonno Nicolò sposò nel 1872 Angiola Forzano e dalla loro unione nacquero nove figli. I primi quattro morirono in tenera età, gli altri sposarono tutti rampolli e fanciulle di buona famiglia.
Così fece anche suo padre Antonino (n. 1883 - m. 1964), che nel 1909 sposò la duchessa Cobella Ruffo, figlia dello storico Vincenzo Ruffo, principe della Floresta, e di Isabella Alfonsa Karliszki. Da questo matrimonio nacque appunto Nicolò Vincenzo.
Il “povero” Nicolò era figlio unico e crebbe con il peso di una famiglia blasonata alle spalle. Fu mandato a studiare a Roma e lì conobbe Anna Caccia. Se ne innamorò, ma Anna non discendeva da nobile famiglia, anzi faceva la domestica nel pensionato per studenti dove viveva Nicolò. Nulla riuscì ad impedire ai due giovani di convolare a nozze: infatti si sposarono in Castel Gandolfo il 20 ottobre 1937. La vita dei due non fu mai facile e insieme dovettero affrontare il disappunto della famiglia e poi anche la morte del loro unico figlio, Antonio, che morì suicida il 7/04/1958 poco più che ventenne.
Nicolò, funzionario del Ministero della Pubblica Istruzione, uomo di grande cultura e dotato di un animo sensibile, era sempre rimasto legato a Patti e qui trascorreva molti mesi dell’anno nella villa di Patti Marina, oggi sede della Biblioteca Comunale. Nicolò e Anna Caccia, nonostante i grandi dolori che come una maledizione portarono sulle spalle per tutta la vita, rimasero sempre uniti perché la loro era una grande storia d’amore e nulla poteva distruggerla. Nicolò morì in Roma il 20/11/1978 e fu sepolto a Patti nella tomba di famiglia accanto a suo figlio.
Il 6/11/1982 Anna Caccia consegnò al Sindaco di Patti il suo testamento pubblico, nel quale stabiliva che alla sua morte la Villa Pisani sarebbe diventata di proprietà del Comune per essere adibita a centro culturale e aggiungeva: … “ Lego al Comune di Patti la somma, e tutta la somma, che, all’apertura della mia successione, trovasi accreditata sul conto corrente[… ]. E così dispongo perché sia realizzato il seguente scopo: Costituzione di due borse di studio da intitolare al nome del mio defunto figlio “Antonio Pisani Caccia” da conferire ogni anno a quei due studenti più meritevoli delle scuole secondarie di Patti. L’importo delle suddette Borse, che non dovrà risultare inferiore a lire 5.000.000 per ognuno, dovrà essere, proporzionatamente ed adeguatamente, aumentato in relazione all’ammontare delle somme oggetto del legato che si troveranno depositate nel predetto conto corrente”.
Alla sua morte, avvenuta in Roma il 19 maggio 1990, la somma depositata sul conto era di lire 360.772.277. Le Borse di Studio sono ancora oggi assegnate.
Anche Anna Caccia riposa nel cimitero di Patti accanto a suo figlio e al suo Nicolò.
Ne sono passati anni da quando i Borboni proposero la necessità dell’istituzione di Pubbliche Biblioteche. Oggi, nell’era dell’informatica, anche le Biblioteche si sono adeguate cercando di tenere il passo con i tempi.
Il servizio Bibliotecario Regionale/Polo Messina, attivato nel 2000, ha tra i suoi obiettivi la realizzazione di una banca dati bibliografici per la provincia di Messina e di una serie di iniziative, quali il prestito interbibliotecario, la diffusione della lettura ed il miglioramento dei servizi a favore dell’utenza. Nel 2001 sono state effettuate le prime istallazioni presso la Biblioteca Comunale di Messina, quella di Barcellona Pozzo di Gotto e di Mistretta, oltre alla predisposizione di una postazione di controllo presso il Servizio Beni Bibliografici di Messina.
L’attuazione del progetto ha consentito di realizzare la nuova configurazione della rete telematica mediante il collegamento con linea HDSL al server del centro rete istallato presso il CED del Comune di Messina, permettendo la connessione on-line di tutti i terminali configurati presso le biblioteche aderenti al servizio.
La Banca Dati è costituita complessivamente da oltre 65.000 record reperibili mediante il servizio OPAC consultabile dalle biblioteche connesse e da qualsiasi utente tramite internet dal sito del SBR/Polo di Messina all’indirizzo: www.sbrmessina.it che consente di visionare i libri catalogati, di stabilirne la locazione presso le biblioteche aderenti al Polo e di verificarne la disponibilità. La Banca Dati viene continuamente aggiornata dai record immessi ex novo dagli operatori di ogni singola biblioteca aderente al servizio.
L’informatizzazione della catalogazione e l’automatizzazione dei servizi ad essa connessi sono divenute ormai uno strumento indispensabile per il corretto ed efficace funzionamento di un sistema bibliotecario strutturato.
La provincia di Messina è costituita da 109 comuni disposti su un territorio di 3.247 Kmq, con un numero almeno doppio di biblioteche tra comunali, ecclesiastiche e di enti vari.
La Biblioteca Comunale di Patti è entrata a far parte del Polo nel 2004; ha così avuto il privilegio di essere inserita tra le 24 in cui il servizio è già attivo.
5. PATRIMONIO LIBRARIO
I volumi presenti in Biblioteca sono oltre 17.000 e interessano varie discipline: narrativa, storia, tradizioni popolari, saggistica, psicologia, matematica, fisica, religione, diritto, teatro più una sezione dedicata alla narrativa per ragazzi.
Tra le numerose opere generali segnaliamo l’Enciclopedia Treccani con dei volumi dedicati al Novecento, l’Enciclopedia per ragazzi “Rizzoli La Rousse” e “Mondadori”; inoltre, molte altre che riguardano la chimica, fisica, arte, informatica, religione, storia e filosofia. Vi è anche una raccolta di Classici Italiani, Latini e Greci, Sociologia, Filosofia e Pedagogia della collana UTET. Fanno parte del patrimonio librario vari dizionari di lingua latina, greca e straniera. Tra quelli italiani, c’è il Petrocchi del 1909; inoltre, vi sono vari dizionari di dialetto siciliano e il “Glossarium mediae et infimae latinitatis” del Du Cange. Da segnalare anche diversi libri su Patti, Tindari e sulla Sicilia che riguardano un po’ tutto: l’arte, la storia e i costumi e l’ “Enciclopedia Meligunis-Lipara” di Luigi Bernabò Brea e Madeleine Cavalier. La biblioteca possiede anche una Bibbia in tre volumi, tradotta da Mons. Antonio Martini, del 1852, un Codice Penale del 1895 edito da Pietracola e una raccolta di Leggi e Decreti sin dal 1861.
Come già accennato, la Biblioteca Comunale è anche sede dell’ASCT (Archivio Storico Comunale Territoriale) con documenti di grande importanza storica. Il suo patrimonio, secondo un inventario compilato da Riccardo Magistri, comprende:
- Registri della corte giuratoria dal 1579 al 1806;
- Senato dal 1807 al 1817;
- Registri delle deliberazioni del decurionato dal 1819 al 1875;
- Corte del giudice civile dal 1675 al 1799;
- Introiti ed esiti del peculio frumentario dal 1717 al 1812;
- Congregazione di carità: Libro dei proietti e deliberazioni dal 1823-1824 e 1863-1884;
- Atti giudiziari sec. XIX con copie del sec. XVII;
- Conti del patrimonio civico: Gabelle, fondi, introiti ed esiti dal 1751 al 1796;
- Scrutineo per l’elezione degli ufficiali di città anni 1768-1785; 1587-1687 e 1622-1670;
- De conciliis dal 1596 al 1720;
- Registri di introito ed esito dal 1849 al 1858 (Comune Sorrentini) e dal 1826 al 1867 (Comune di Patti);
- Insinue dal 1555 al 1783;
- Registri dei mandati di pagamento e conti del tesoriere dal 1592 al 1701;
- Registri di protocollo 1884-1886 e1920;
- Commissione dei beni ecclesiastici 1811-1845-1863-1864-1872;
- Atti della corte giuratoria alcuni anni dal 1685 al 1804;
- Atti vari del comune (corrispondenza, consuntivo mandati, lettere del Sindaco etc.) dal 1830 circa al 1969 in anni sparsi;
- Catasto comunale di Patti dal 1836 al 1899;
- Registri delle deliberazioni della Giunta Municipale e del Consiglio Comunale dal 1861 al 1956;
- Registri di Stato Civile (nascita, matrimoni e morte ) dal 1820 al 1900 del Comune di Patti;
- Registri di Stato Civile (nascita, matrimoni e morte) dal 1820 al 1865 del Comune di Sorrentini.
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Diverse sono le ipotesi sostenute sull'origine della città di Patti: alcune fantasiose, altre semplicistiche, altre ancora molto riduttive dal punto di vista storico ma le recenti scoperte archeologiche dimostrano l’esistenza di un nucleo, abitato ed organizzato, già dall’VIII° -X° sec a. C. A questo periodo risale, infatti, la necropoli di contrada Monte. In parte visibile dalla strada provinciale Patti-Sorrentini, a circa 1 km dalla città, il sito archeologico presenta un'estensione di circa 16 ettari e ingloba parte della contrada Monte e tutta la contrada Valle Sorrentini, ambedue nel territorio comunale di Patti. La necropoli si estende tra i pendii della collina calcarea fino alla Valle Sorrentini, alle cui tombe si accede mediante un pozzo e scalino. Sul versante est, che guarda verso Patti, è stata notata una lunga scala, larga almeno 3 m e realizzata nella roccia, che porta sulla sommità della collina, dove, sebbene non vi sia alcuna tomba, la presenza di ruderi, nel pianoro a nordovest, ricondurrebbe ad un anaktoron. E’ possibile che le incursioni dei Siculi e degli Ausoni (XIII-XII sec ) abbiano incrementato la consistenza della popolazione locale a tal punto da rendere insufficiente l'area di contrada Monte e abbiano creato un'altra comunità, ad oriente del torrente Provvidenza, in una porzione di territorio denominata "Epacten" (Έπακτήν) che, risalendo alla etimologia greca sulla sponda, sul promontorio, rimane la tesi più accreditata sull’origine della denominazione “Patti”.La città si estendeva a sud fino al mare ed era delimitata da due corsi d’acqua, attualmente denominati Provvidenza e Acquafico. Trovano così giustificazione gli affioramenti ellenici a nord dell'attuale ospedale e le "notizie" su altre strutture, venute casualmente alla luce durante i lavori di costruzioni private.
Nel centro storico, nel corso di alcuni lavori di scavo, sono venute alla luce anforette, alcune delle quali finemente decorate, materiale lapideo di riutilizzo e cocci di terracotta, risalenti a vari periodi.
Con la scoperta della Villa Romana, si ha un’ulteriore conferma che la zona era interessata da insediamenti abitativi per il periodo che va dal III sec. a.C. al X sec. d.C. Sotto le strutture romane della Villa del I sec. d.C. sono venute alla luce opere murarie di epoca precedente, per cui il complesso monumentale vede sovrapposti ben quattro periodi, senza contare la chiesetta di Sant'Erasmo: il pre-romano verosimilmente ellenico; il romano del I sec. d.C.; il romano del IV sec. d.C. e il bizantino. I reperti rinvenuti provano che la Villa è stata abitata, anche se parzialmente, fino al X-XI sec. d.C.; successivamente è presumibile che le incursioni dal mare, abbiano spinto gli abitanti a rifugiarsi in un’ area più sicura, quale poteva essere la città di Patti, ormai fortificata.
In questo contesto è fondamentale introdurre la storia di Tindarys, frazione di Patti , strettamente legata a quella del territorio nonchè della Magna Grecia. La fondazione di Tindari, fatta risalire dagli storici al 396 a.C., fu voluta da Dionisio, tiranno di Siracusa, il quale, volendo creare un posto fortificato e strategico per fronteggiare eventuali incursioni dei Cartaginesi,vi inviò, alcuni Greci che avevano trovato rifugio a Messana e che erano, in gran parte, Locresi e Messeni, con una sparuta presenza di Medmei.
La denominazione di "Tyndaris" si fa risalire ad eventi mitologici. I coloni greci, infatti, erano particolarmente devoti ai Dioscuri, Castore e Polluce , secondo la leggenda, figli di Giove e di Leda, moglie di Tindaro re di Sparta e altresì chiamati Tindaridi. Ciò ha indotto i fondatori della colonia a denominare la regione Tindaride e la città, alla quale faceva capo, Tyndaris. I Dioscuri furono così i protettori della città, come attestano parecchie monete rinvenute durante gli scavi. Altro evento, legato alla mitologia, è quello relativo allo sbarco di Oreste e alla introduzione nella Tindaride del culto di Diana Facellina. Con la costruzione del tempio di Diana, presumibilmente in contrada S.Cosimo, alla Tindaride si affiancava l’Artemisio, nel quale si trovava il Nauloco. Quest’ultima località era un porto militare, i cui reperti potrebbero essere quelli esistenti in contrada Sipio e sui monti Perrera e Russo.
Tratto da “Nauloco e Diana Facellina: un’ipotesi sul territorio di Patti fra mitologia, storia e archeologia” di Nino Lo Iacono.
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I MULINI DI PATTI
Il Vescovo di Patti, per la concessione di Ruggero, godeva, fino all’abolizione della feudalità, del privilegio del dominio su tutte le acque del territorio di Patti, di conseguenza, non si poteva utilizzare l’acqua dei fiumi, per irrigare gli orti, per far macinare i mulini o per macerare i lini, senza il suo consenso. Ecco un elenco cronologico dei Mulini del Vescovato nel territorio di Patti.
NEL TORRENTE TIMETO
- Nel 1487 vi è la concessione da parte del Vescovo Antonio di Leofante ad Oliviero Caracciolo di tanta quantità di acqua del “fiume grande di Patti”cioè del Timeto. La concessione di questo mulino durò fino al 1600. Era il “Mulino della Rocca”;
- Un secondo mulino esistente nel 1517 era “lo Mulinello”. Nel 1550 risultava concesso in gabella a Cataldo Cappadona. Sequestrato dal demanio nel 1867 fu dato in affitto ad Antonino La Rosa fu Michele e poi venduto a Carmelo Bonsignore nel 1873;
- Infine un terzo mulino sorse nel 1585 nei pressi di quello della Rocca. Ma a causa di liti per l’acqua probabilmente non riuscì mai ad entrare in funzione.
Quello che è certo è che tra il 1821 e il 1824 era in attività, lungo il torrente Timeto, il solo Mulino detto “Mulinello”.
Nel 1855, però, nel volume del catasto, risulta un mulino in contrada “Molino Nuovo” a nome del Barone Crisostomo Sciacca. Potrebbe trattarsi di quel terzo mulino, acquistato e ricostruito dal Barone Crisostomo.
NEL TORRENTE MONTAGNAREALE O PROVVIDENZA
In questo torrente, quasi attaccato alla città, fino al 1839 si contavano sette mulini, tutti di proprietà della Mensa Vescovile, nel territorio di Patti, Sorrentini e Montagnareale.
- Già nel 1454 esisteva il mulino “di Mezzo” detto anche “di Juso” ed era ubicato sotto la diruta chiesa di San Nicolò, nella contrada di “Druta”. Nel 1862 era già diroccato.
- Quello “dell’Olmo” era situato quasi all’incrocio della strada che parte dalla chiesa di San Antonio Abate e che, nei pressi del torrente, si dirige da un lato verso Montagnareale e dall’altro verso il ponte della Provvidenza. Nel 1864 anche questo era già diroccato.
- Il terzo mulino è quello cosiddetto “della Croce” citato in un documento del 1488. Di esso restano ancora le tracce della conduttura soprelevata e il nome della strada “Via Molino Croce”. Il mulino fu abbattuto per far posto a una casa, oggi nei pressi del tribunale.
- In un atto del 1549, compare un quarto mulino col nome di “mulino de Suso” o anche “del Capo”, che probabilmente doveva essere coetaneo a quello “di Mezzo” o “di Juso”. Questo ne spiegherebbe da denominazione. Questo mulino sopravvive perché acquistato dal comune di Montagnareale nel 1985 dagli eredi dell’ultimo proprietario per il prezzo di 27.600.000 lire, fu ristrutturato ed è oggi meta di turisti. (A questo mulino si riferiscono le immagini).
Altri due mulini risultano costruiti nel 1580.
- Uno, il quinto, nelle terre degli orti, accanto alla chiesetta della Provvidenza, distrutto negli anni ’70 per far posto ad una casa, già inattivo nel 1821 e almeno fino agli anni dei sequestri (1866-1870), poi fu rimesso in attività fino ai primi anni del secondo dopoguerra.
- Il sesto era ubicato nella contrada detta “Fontana dello Ramo” e con questo nome viene indicato in un documento del 1581
- Infine, un altro mulino della Mensa Vescovile compare nel 1821 nel territorio di Montagnareale, contrada “mulino Nuovo” , fu diroccato dall’alluvione del 1823 e non fu più ripristinato.
I MULINI DEI PRIVATI
I privati cominciarono a costruire mulini dopo che fu dichiarata la liberalizzazione delle acque, in conseguenza all’abolizione della feudalità , proclamata il 2 giugno 1813. Cinque furono i nuovi mulini costruiti lungo il torrente Montagnareale e di alcuni di essi rimangono ancora le tracce.
- Il primo sorse nella proprietà di don Gaetano Sciacca, intorno al 1843, poco più sopra del mulino dell’Olmo e fu anche la causa della chiusura di quest’ultimo.
- Il secondo sorse nella proprietà Nachera, sotto il mulino dell’Olmo, poi passato per donazione al Conservatorio di Santa Rosa; è ancora in parte esistente la conduttura dell’acqua.
- Il terzo sorse nella contrada di San Nicolò la Mendola, di cui esiste ancora il fabbricato, nella proprietà di don Luigi La Rocca, amministratore dei beni dell’avv. Galvagno, oggi proprietà degli eredi del sig. Tindaro Messina.
- Il quarto sorse poco più avanti della porta San Michele, nell’attuale Via Fiume ed era detto “della Provvidenza”, abbattuto una cinquantina d’anni fa per far posto ad un deposito di marmi.
- Il quinto sorse per iniziativa del sig. Giuseppe Giuttari, in un suo fondo sotto il mulino della Croce.
Le notizie sono tratte da”Viaggio a Patti nel tempo e nello spazio” vol. 1 di Riccardo Magistri.
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BIBLIOGRAFIA
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